Immagine tratta da The Jewish Chronicle

Itay Kashti non saprà mai se è stato uno dei suoi commenti sui social a contrastare la narrativa anti-israeliana nel mondo della musica a portare al suo rapimento, ma ha un presentimento. Produttore discografico da vent’anni nel Regno Unito, è stato attirato in una fattoria nel Galles, picchiato e incatenato a un termosifone da tre aggressori, poi condannati a otto anni di carcere. “Nel gruppo chat dei rapitori, sono passati da chiamarmi ‘il produttore’ a ‘l’israeliano’ e poi semplicemente ‘l’ebreo'”, racconta. Dopo la sentenza, alcuni ex amici gli hanno scritto, ma senza rimorso: “Mi dispiace quello che ti è successo, ma voi restate i cattivi”. L’antisemitismo nella musica è esploso con i concerti della band irlandese Kneecap, che ha gridato “Up Hamas” e “uccidete il vostro deputato”, mentre artisti israeliani come Jonny Greenwood dei Radiohead e Dudu Tassa vedono cancellati i loro show per minacce di attivisti filo-palestinesi. “Costringere i musicisti a non suonare è censura”, hanno denunciato.

Gli episodi di discriminazione si moltiplicano. Una dj britannico-israeliana ha raccontato di essere stata presa in giro per il suo naso poco prima di salire sul palco: “Sei ebrea perché hai il naso grosso”, le hanno detto, riducendola a una “attrazione da circo”. Rachel, manager di una major, raccoglie testimonianze agghiaccianti: dagli artisti che rifiutano collaborazioni con chi sostiene Israele (“Non posso lavorare con te se non chiedi un cessate il fuoco”) ai colleghi che sostengono che “gli ebrei non hanno bisogno di aiuto, controllano tutto”. Intanto, sui gruppi Facebook dedicati alla musica, dilagano i post per boicottare festival “finanziati dai sionisti” e artisti israeliani. Louise, organizzatrice di eventi, ha provato a denunciare questa deriva: “Ho scritto che era antisemitismo, ma mi hanno censurata dicendo che era ‘troppo politico’”.

Boiler Room, compagnia di eventi dance, ha rimosso i live da Tel Aviv dopo pressioni di gruppi come Ravers for Palestine, mentre dj israeliani sono stati cancellati senza spiegazioni. Dopo il 7 ottobre, il silenzio sul massacro del festival Nova ha sconvolto molti: “Nessuna solidarietà, come se gli israeliani non fossero umani”, dice una promoter. Anthony Broza, manager dei Gipsy Kings, ricorda le bandiere palestinesi ovunque al Glastonbury: “Prima c’era unità, ora solo odio”. Nei festival, la narrazione è a senso unico: “Band, dj, chef, speaker – tutti contro Israele. Ma chi parla di pace? Non esiste più”, conclude Louise. Intanto, la paura dilaga: “Non porterei più i Gipsy Kings in Israele, è rischioso”. E il clima non migliora.