Esattamente 20 anni fa entravo nel mondo Media Records

Lunedì 17 giugno 1996 la mia vita è cambiata. Ma non perché in quei giorni la Nazionale perse con la Repubblica Ceca agli Europei in Inghilterra o perché si registrò il crollo della Sumitomo Bank in Giappone. Non perché il giorno prima si tennero le prime elezioni libere nella federazione russa per eleggere il Presidente della Repubblica (epopea Yeltsin) o perché una manciata di giorni dopo ci sarebbe stato lanciato sul mercato il Nintendo 64. La mia vita il 17 giugno è cambiata perché finì la mia breve e modesta carriera di giornalista sportivo e iniziò quella più interessante e brillante di curioso della musica elettronica. Iniziò solennemente tutto a Roncadelle, in via Martiri della Libertà, in una costruzione fredda e moderna (all'esterno), in una Disneyland (all'interno) fatta di studi grafici e registrazione, di riunioni esasperate che mi hanno forgiato, scosso: cambiato. Sono passati 20 anni esatti, da quel 17 giugno del '96.

Colpa, ma preferisco dire merito, di Gianfranco Bortolotti da Brescia. E del mio amico Alex Zullo che mi portò casualmente lì, che mi presento tutti, a me, un iscritto al Media Fan Club (Tessera n. 1217). Un bresciano ha cambiato la vita a me, un milanese. Vedi ad avere preconcetti e a pensare che solo la tua città è la migliore al mondo? “Sei tu quello che ha scritto il libro sulla Storia della House? Beh, sappi che non lo sa nessuno che è uscito. Non hai fatto bene la promozione. Qui puoi imparare come si fa”, esordì il guru presso l'adiacente Hotel Continental, un secondo ufficio per lui come se fosse Fonzie. Chiesi la possibilità di collaborare in qualche modo con Media Records. La risposta fu: “Vai su da Diego, il mio socio, e fatti dare una camera”. Iniziò una saga: prima le fotocopie al piano di sopra, alla Impulse Promotion di Nicola Pollastri, poi nello staff Media, come promoter sui dj e le loro uscite. A farmi le ossa in provincia. Cento chilometri da casa.

Lì mi feci buoni amici e diversi nemici, come al solito. Lì a fare riunioni sulle compile di Gigi e de “La Donna in Scatola”, sulla Casa Discografica dei Djs, sulle affiliate da aprire in giro per il mondo, sui concorrenti da ignorare, sui libri da leggere, sulle strategie da ideare, su come trattare le nuove popstar (i dj), sulla tv che sarebbe diventata web, sui software che sarebbero diventati applicazioni, sulla musica liquida (che solo un quinquennio dopo tutti avrebbero compreso), sul locale minimale da aprire (“Shibuya potrebbe essere un bel nome: si mangerà sushi e vieteremo di fumare”), su come chiamare la nuova techno (Mediterranean Progressive o altro?) e su come trovare spazio alla trance. Il derby continuo con l'altra casa discografica di Brescia era incessante. Il marchio Media Records alla fine me lo sono trascinato ovunque, tatuato nel cuore: io, affetto da pesante Sindrome di Stoccolma, da quella dipendenza psicologica (e nel mio caso affettiva) che si manifesta in individui che hanno vissuto traumi. E che hanno sfiorato epurazioni. Sognavo un Sada A&R o un Sada produttore nella azienda dove di A&R e produttori ce n'erano sin troppi. Sarei stato fuori posto, sul quel versante. Mi occupavo di fotocopie i primi giorni, di promozione con la stampa nei primi mesi, di coordinare tutto il reparto comunicazione (sei anime pie) dopo un anno.

Penso ancora oggi: tra la fine del 1986 e l'inizio del 1987 è nato un marchio che mi ha cambiato la vita. Un logo geniale, un nome geniale da una persona che dire geniale è poco: visionaria. Media Records. In medio stat virtus è diventato “In Media stat virtus”. Il guru remixava anche le locuzioni latine. E se la virtù sta nel mezzo, un uomo e un marchio stavano sempre al varco: la speranza è che questo visionario, questo Gianfranco Bortolotti, possa ancora oggi, non solo nei miei sogni, pulire un mondo stagnante, pimpato e fintopossibilista come quello odierno della discografia. Ci credo ancora, io. Ci spero. Quel logo tondo. Quella scritta. Il pazzo scatenato, il CEO, l'oncho, il guru. Era il '96, quando iniziai lì, non stanco di ripeterlo, come un mantra, soprattutto a me stesso.

C'erano i più bravi, lì. Nove studi di registrazione, poi altri due, e innovazioni impensabili, distaccamenti nel mondo, dischi d'oro e di platino, l'investimento su quelle che poi sarebbero diventate le nuove stelle: i dj. In Italia i primi “haters” sono quelli che passavano da casello di Brescia Ovest, facevano il gestaccio, imitavano e invidiavano uno staff che, anche dopo aver abbandonato la nave, avrebbe fatto bene comunque e dovunque: perché forgiato da ordine, metodo, passione, estro, duro lavoro, disciplina, organizzazione. Scuola Media. Scuola Media Records. A fare i nostalgici e a girarsi per ammirare il passato e ripretenderlo, è facile. Ma è così, quando si guarda al primo amore: lo si fa con impeto e privi di obiettivo. Si parla col cuore in mano. Una dichiarazione d'amore la feci, a lei, a Media Records. A quel gruppo, a quei risultati. Poi, tutto il resto, è un piacevole contorno, un'ordinaria amministrazione. Dentro mi soffia ancora un vento pazzesco: soffia sulle note di successi intramontabili.

Quel ricordo ogni giorno mi fa dire: porco cane, sono stato fortunato a lavorare e a imparare lì. Ero nel posto giusto, al momento giusto.
Sono comunque stati tutti traumi buoni (...) e propositivi (...) e il sentimento nei confronti del proprio mito, guru, CEO, si è spinto prima verso l'odio (il duello era costante) e poi verso l'amore e alla quasi totale sottomissione volontaria: ho instaurato con Bortolotti un'alleanza e una solidarietà che mi ha fatto conoscere l'empatia. Lo ringrazio per l'avermi stravolto la vita e preparato per gli anni a venire. Vorrei fare una festa, con tutti voi, amici di Media Records, lontani e vicini. Dopo vent'anni forse il mio capitolo dovrebbe chiudersi qui. Con questi ricordi. Ma come faccio a resistere alla tentazione di far parte di nuovo del collettivo più bello del mondo?

p.s. per i distratti: Media Records non compie 20, sono io che oggi ho compiuto 20 anni in Media Records